Orgien Mysterien Theater- 15 dicembre 2007 - 15 febbario 2008
La Galleria De’ Foscherari presenta nei suoi spazi una mostra dedicata all’artista Hermann Nitsch (Vienna, 1938) dal titolo Orgien Mysterien Theater (Il Teatro delle Orge e dei Misteri). Per l’occasione saranno esposti lavori recenti, alcuni dei quali realizzati appositamente per l’evento, che documentano attraverso diverse tecniche l’opera del maestro, protagonista assoluto dell’Aktionismus viennese e figura centrale nella storia dell’arte europea degli ultimi decenni. Collage e dipinti di grandi dimensioni (200 x 300 cm) trasferiscono nella veemenza del gesto pittorico e nella forza cromatica delle vernici la potenza visiva delle azioni realizzate dall’artista. Colore e sangue si stagliano sulle superfici delle grandi opere, su cui sembrano essersi sedimentati i ricordi delle performance compiute negli ultimi decenni. Gestualità pittorica e atto performativo trovano dunque una consonanza inedita, generando immagini dotate dello spessore temporale e filosofico che caratterizza l’intera opera dell’artista. Un’installazione composta da "relitti" di performance (lettighe, strumenti medici e altri oggetti utilizzati nel corso di diverse azioni), porta di fronte agli occhi dello spettatore gli aspetti più materiali del lavoro dell’artista: anche in questo caso gli oggetti sono pregni di significati e memorie, indizi e tracce di eventi avvenuti, testimonianze e reliquie dell’avverarsi miracoloso dell’atto artistico. Un video sarà incluso nella mostra al fine di documentare alcune tra le più celebri performance e azioni dell’artista, in un percorso storico che dagli anni Sessanta giunge fino a oggi. In occasione della mostra verrà prodotto un catalogo con un’intervista all’artista di Danilo Eccher e uno scritto autografo di Hermann Nitsch dal titolo Das Orgien Mysterien Theater, in cui egli espone le ragioni della propria poetica e delle proprie scelte espressive. Le immagini pubblicate in catalogo documenteranno l’opera di Nitsch dagli esordi risalenti alla fine degli anni Cinquanta fino alle più recenti realizzazioni della sua wagneriana opera d’arte totale, in cui convivono sfrenatezza dionisiaca e armonia apollinea. Hermann Nitsch nasce a Vienna in Austria nel 1938. Fin dal 1957 concepisce una nuova forma di opera d’arte totale (Teatro delle Orge e dei Misteri), in cui vengono messi in gioco tutti e cinque i sensi nel corso di azioni e performance dal forte carattere rituale e religioso. Nel 1961 fonda con Günter Brus e Otto Mühl il gruppo artistico del Wiener Aktionismus in cui le tecniche della pittura gestuale vengono applicate a una forma espressiva che unisce teatro, arte e musica, coinvolgendo in prima persona l’artista nelle condizioni più estreme. L’artista ha combinato la propria attività performativa con esposizioni, conferenze e concerti in Europa, America e Asia. Sue opere sono incluse in prestigiose collezioni, tra cui quelle dello Stedelijk Museum di Amsterdam, della Tate Gallery di Londra, del Guggenheim Museum di New York. Ha esposto presso il Museum Moderner Kunst Stiftung di Vienna nel 1978, 1999, 2002 e 2004, alla Stadtische Galerie im Lenbachhaus di Monaco nel 1988, al Konsthallen Göteborg nel 1997. Ha inoltre partecipato a Documenta V e VII a Kassel e alla Biennale di Sydney nel 1988. Nel 2007 viene fondato a Mistelbach, a nord di Vienna, l’Hermann Nitsch Museum.








IL SENSO DELLA VISIONE NELL’O. M. THEATER - HERMANN NITSCH
1. Il mio teatro è un teatro visuale, appunto l’imparare a guardare è una richiesta importante del mio lavoro. Mai nella storia del teatro il visibile, quello che si accoglie con l’occhio, fu così importante come lo è nell’O.M. Theater. Quando vedevo che la lingua da sola non aveva più la potenza di esprimere quello che volevo realizzare, abbandonai il teatro del parlare e del raffigurare, e tentai di mettere in scena, all’interno del mio teatro, avvenimenti reali. Tutti i cinque sensi dello spettatore dovevano essere coinvolti reclamandoli in modo diretto. Un avvenimento reale si può registrare tramite tutti e cinque i sensi. Costruisco avvenimenti che invitano gli spettatori ad annusare, assaporare, guardare, udire, palpare con intensità.
2. Io pretendo un guardare diverso. Quel vedere capace di percepire soltanto gli oggetti quotidiani, lisci, lindi con lo scopo di distinzione e che ormai può registrare soltanto termini linguistici già pronti, non mi interessa. Tengo, invece, a un modo di osservare che abbiamo perso e che percepisca gli oggetti da vedere in modo assolutamente sensoriale. Le nostre vie asfaltate, le nostre autostrade con la loro segnaletica univoca si mostrano alla vista soltanto nella loro nettezza funzionale. La viabilità a favore della velocità lascia intravedere poco del paesaggio originale. Soltanto con un incidente stradale tutto cambia. In questo caso la carreggiata è sporca di sangue, di corpi feriti o morti ed è bloccata da macchine distrutte, una vista orribile, inorridita, abissale ci viene improvvisamente imposta e richiesta. Osserviamo forzatamente con tutti i nostri sensi e siamo avidi di un evento. Le pulsioni (energie) frustrate dei curiosi vogliono vivere, pure a prezzo della morte. All’improvviso ci confrontiamo con l’altro lato della nostra realtà sensoriale. Ogni forte sensazione porta incondizionatamente a nuove esperienze, al di là della morale.
La varietà di merce che ci mostrano quotidianamente i supermercati è confezionata per lo sguardo superficiale in modo appetitoso e lindo, igienico e gradevole. Già in Italia, in un mercato qualunque, si amplifica l’offerta visiva. C’è puzzo. Carni, interiora, pesci e frutti di mare gelatinosi giacciono crudi, rigogliosi e dai colori sfarzosi sui banchi. Carcasse di animali intere e spaccate, corpi macellati e scuoiati, pendono dalle bancarelle. Si distingue ancora l’aspetto originale dell’animale. Non di rado pomodori, frutta, grappoli d’uva sono eccessivamente maturi e sorvolati da vespe. I frutti spesso sono morbidi, sul punto di diventare marci e quasi fermentati. A volte sono piuttosto repellenti alla vista. Si sa però, che addentandoli la loro polpa sarà di una morbidezza benefica e di una dolcezza intensissima. Ci sono liquidi versati, latte, vino, olio. Puzzo di pesce che evoca l’odore del mare, odore di carne cruda e di trippa, fino all’odore di frutta troppo matura in via di fermentazione e di vino versato, intensificano l’effetto ottico di quei mercati che ancora non sono condizionati dall’organizzazione sfruttatrice del consumo di massa. Credo che sia noto quello che per me è importante. Dovremmo raggiungere una capacità di guardare piena e sensuale (sensorialmente intensa) che ci trasmetta le cose percepite non secondo la loro superficie, ma piuttosto secondo la loro sostanza interiore, direi addirittura la sostanza del gusto. Il vedere comune di oggi è appiattito fino a diventare una percezione non sensoriale, palesemente funzionale, senza applicare la profondità dei sensi. Tutto ciò che l’ordine della civilizzazione ci proibisce, o quasi, di registrare, dovrebbe stimolarci a una registrazione intensissima dell’esistenza. Del latte versato, un uovo sbattuto, un tuorlo spalmato, frutti schiacciati, grasso cosparso, carne cruda, viscere, intestini, escrementi, sangue spruzzato, sperma, vernice rossa versata, pozzanghere di pioggia ecc. invitano a una registrazione intensa, vengono registrati in profondità e impegnano il nostro bisogno di sensazioni acute. Un guardare pieno e sensuale non può rimuovere il tragico, la morte, la putrefazione, il marcio, deve coinvolgerci nel decorso della creazione.
3. Se adesso si parla sempre del VEDERE, penso che quello che vale per il vedere, valga altrettanto per tutti gli altri nostri sensi. Il vedere è sostenuto dal complesso di tutti i sensi e per sua indole funziona correttamente soltanto in combinazione con essi. Una sinergia sinestetica è indispensabile. Vedere in modo intenso ci esorta ad annusare, assaporare e palpare in modo più intenso. Viceversa, gli altri sensi si intensificano altrettanto reciprocamente. Ogni singolo senso funziona per noi insieme agli altri. La riduzione a un solo senso significa perciò isolamento, ed è sbagliato che un senso si sviluppi meglio per la mancanza degli altri sensi. Non esiste un importante compositore che sia nato non vedente e perfino i grandi interpreti ciechi sono rari. Entrando ancora più nel dettaglio: l’offerta di consumo non ci può neanche prescrivere l’annusare e l’assaporare. Vanno intensificati e sensibilizzati in conformità alla ricchezza che ci offre la nostra natura interna ed esterna, non da ultimo in conformità all’inalterata specifica ricchezza delle sostanze commestibili. Lo stesso vale per il palpare e l’udire. Vogliamo immedesimarci profondamente nelle cose, aprirci ai suoni che sono al di là delle nostre abitudini acustiche e che si estendono fino alle grida. Di solito, gli animali sono dotati di maggior precisione e profondità nella percezione sensoriale di quanto non lo siano gli esseri umani. Perché non dovremmo includere nel nostro essere umani anche le facoltà essenziali e positive dell’animale, ovvero, perché non le sviluppiamo e coltiviamo? Una cosa non esclude l’altra. La nostra evoluzione è stata spesso troppo veloce e troppo unilaterale. Abbiamo creduto di poter rinunciare a certi campi di esperienze, particolarmente collegati ai nostri sensi, a favore dell’acume intellettuale. Oggi lo stesso acume dell’intelletto ci dice che non lo possiamo proprio fare. Non intendo tornare indietro all’animalità, tirar fuori il passato, ma piuttosto far evolvere quel qualcosa che è dentro di noi, che è presente, ma è stato trascurato durante il percorso di determinate fasi di sviluppo. Le pulsioni generate dalle energie primarie della nostra natura pretendono più di un semplice vegetare. Se questa necessità basilare non viene soddisfatta, si generano rimozioni e nevrosi.
4. Come mai tutto quello che è viscido, carnoso, morbido, bilioso, liquido spinge verso un intenso sentire? Ho tentato più volte di trovare delle risposte a questa domanda, ma non ci sono mai riuscito in modo esauriente. Nonostante ciò [ecco] alcune riflessioni sulla domanda precedente, che vanno oltre la teoria anale di Freud. Tutto quello che è viscido e umido si può associare con la nostra fisicità, soprattutto con la nostra corporeità fatta di carne, di organi umidi e molli, di liquidi ematici, di secrezioni e di sostanze che attraversano il corpo, quelle che vengono rilasciate, come gli escrementi, il sangue mestruale, l’urina, lo sperma, la saliva, il sudore, il vomito e così via, ma si può pensare anche al cibo mangiato, inglobato, masticato, amalgamato con la saliva, indigerito, quasi digerito e digerito. Veniamo alla luce avvolti nella mucosità. Tutte le sostanze nominate vengono percepite da chi ha un sentore comune come schifose. Tutto quel- lo che è stato elencato viene registrato intensamente, ma provoca una percezione di ribrezzo e innalza una barriera contro la sensazione di schifo. Solamente il medico, il macellaio, il cacciatore, il contadino, il cuoco, la donna di cucina e l’artista si occupano del settore delle sostanze elencate Frequentemente è l’aggressione, la ferita inferta a un altro essere, l’uccisione, che ci mette a confronto direttamente con le sostanze interne alla fisicità carnale. Il sangue sprizza e fuoriesce da una ferita e la nuda, cruda carne della piaga diventa visibile. Solo con l’uccisione si rivela la carne e il sangue dell’ani- male cacciato. Durante lo sventramento, si vedono gli organi viscidi e molli e i fluidi che irrorano i nostri corpi. Il colore rosso appartiene alle cromie più forti che conosciamo. Ha un intenso valore di segnalazione che porta la nostra organizzazione psicofisica in uno stato di choc. Ogni volta che qualcuno viene ferito, quando c’è un assoluto pericolo di vita, fuoriesce sangue vivo e rosso. Forse il rosso, il colore del sangue, è considerato uno dei colori più belli e vivaci, perché è collegato con l’attacco e il pericolo di vita. L’aggressore e il cacciatore della preistoria seguivano l’intensità delle loro percezioni, dominate da una rapace voluttà di uccidere, poiché significava la sopravvivenza e l’alimentazione fino alla ‘crapula’ e la sazietà. Per l’uomo preistorico il vedere, capire e palpare degli organi interni, delle umide viscere della vittima, era collegato al profondo percepire naturale e sensoriale in relazione al feroce comportamento assassino, che filogeneticamente risiede in noi. È per noi un grande trauma, il fatto che uccidiamo e mangiamo i nostri fratelli del regno animale (e lo dobbiamo fare). Le esigenze di igiene, non immediatamente ravvisabili, che quasi vietano all’uomo contemporaneo normale di avere dei contatti con l’umido e il viscido, significano paura della morte e distruzione, paura della reale comprensione della vita, ovvero che il desiderio di cacciare e di uccidere risieda profondamente in noi. Di pari passo, vi è un timore nel riconoscere che, mentre mangiamo della carne, di fatto e quasi senza saperlo, soddisfiamo indirettamente la nostra volontà di uccidere. Rinneghiamo questo dato pagando alcune persone, i macellai, che uccidono per conto nostro. La carne che ci viene dispensata diviene irriconoscibile, viene fatta a pezzi e impacchettata e ci fa dimenticare che ci nutriamo di animali morti. Il divieto di uccidere è per tutti noi un tabù apparente, giacché quotidianamente si uccide. Ma noi NON CI SPORCHIAMO LE MANI. La paura del venir uccisi e l’istinto di uccidere è così forte, che alla sola vista di qualcosa di umido e viscido ci proteggiamo da esso. Non si vuole aver nulla a che fare con la visione delle crude parti organiche del corpo. Il muco e gli umori interiori ci riconducono al regno della morte. Ma proprio la sensuale intensità, con la quale ogni sostanza umida e viscida si trasmette, viene stimolata dal comportamento ferino, dapprima non ravvisabile, e dal desiderio inconsapevole di uccidere. Siamo noi la bestia più forte, insaziabile, irrispettosa e assassina. Questa comprensione appartiene alla tragica realtà della nostra esistenza. E la nostra cultura è una cultura di animali rapaci. Intorno al trauma della vittima e dell’uccisione si intrecciano tutti i miti.
5. Fino ad ora molto si è parlato della nostra innata, ferina necessità di uccidere. Chi crede che io volessi glorificare l’uccisione o addirittura esortare a uccidere o richiedere che ciascuno di noi debba uccidere per soddisfare la nostra necessità in proposito, non mi avrebbe compreso a fondo. L’uccisione va riconosciuta come dato di fatto tragico nel nostro essere. Dobbiamo accettare costituzionalmente basilare, che abbiamo bisogno di uccidere per continuare ad essere vivi, è il processo della creazione che ce lo richiede. La restrizione di un’alimentazione vegetariana minerebbe la nostra fondante e creativa forza propulsiva. Non corrisponderebbe alla nostra specie.
Il desiderio di uccidere deve essere tolto dalla rimozione e va riconosciuto secondo la sua realtà. Il bisogno dell’intensità dell’atto uccisorio deve essere cancellato da una vita fondamentalmente intensa, da una percezione sensoriale, sensibile e intensa delle esperienze e da un amore irrefrenabile per la creazione, attraverso un estatico ed ebbro vedere, assaporare, sentire, udire e palpare. La condizione del vivere intensa- mente e di per sé ebbrezza, la condizione dell’AMORE ci libera dalle necessità rimosse, inconfessate e arcaiche.
6. Le sostanze che segnalano la nostra ferinità diventano visibili nelle mie azioni. Esse affondano nella profondità della nostra costituzione psicofisica. Soltanto quando la barriera del ribrezzo, che ci fa dimenticare la nostra bestialità, viene rimossa, si potrà riconoscere quanto la carne e il sangue sono importanti per il mio teatro analitico, che vuole offrire/presentare la tragica realtà del nostro essere umano fino alla tragica condizione della nostra creazione. In questo caso ‘tragico’ non va inteso nel senso di disperazione e rassegnazione, bensì come il tragico che è la morte, presente nella creazione. Il fallimento o la mutazione attraverso la morte devono avvenire, affinché si possano compiere fino all’eternità una consapevolezza vigile e un percezione estatica e felice. La tragicità viene superata attraverso un sì profondo e perenne alla vita.
7. Gli artisti, con la loro istintiva analisi verso qualunque fenomeno estetico, sono affascinati, al di là del bene e del male, da quel mondo viscido, carnoso e bagnato. Gli artisti sono stimolati dalla nostra sensualità e scoprono qualcosa di «bello» anche dietro alla barriera del ribrezzo. Penso agli artisti del Rinascimento che, a costo della vita, sezionavano i cadaveri, a Rembrandt che dipinse diverse sezioni anatomiche e buoi macellati. Rientra nella tradizione degli olandesi il rappresentare nelle loro vitali nature morte, di continuo, animali sventrati, pesci freschi, scintillanti nella loro polpa bagnata e frutti di mare. Inoltre, penso a Delacroix che di mattina andava al mattatoio per studiare lo splendore cromatico di quel- lo che vi avveniva. E infine, si può riscontrare l’interesse per gli animali macellati in Lovis Corinth, Oskar Kokoschka, Chaim Soutine, Francis Bacon, e nei Surrealisti. Non si può, fra l’altro, dimenticare, che al centro della pittura cristiana c’è la Passione e l’uccisione di un Dio che ha offerto a tutti il suo sacrificio di carne e di sangue come pasto e libagione. Nella poesia si può in pari misura riconoscere l’ambito di questo interesse a partire da Omero, attraverso le tragedie greche, fino alla modernità.
8. Soltanto la pittura informale ha dimostrato, al di là di ciò che veniva dipinto, la gioia diretta e sensoriale per le sostanze cromatiche, i liquidi colorati e le paste di colore. Con questo è iniziata la mia forma teatrale. Partendo dall’intensità sensoriale, che le sostanze e i liquidi suscitano, si è sviluppata una pittura d’azione che doveva soddisfare il bisogno di fare un’esperienza intensa attraverso i sensi. Ho versato del colore rosso su delle superfici orizzontali e verticali e nel farlo sono entrato in uno stato di eccitamento estatico. Volevo che avvenisse proprio quel percepire pieno e sensuale, di cui ho parlato, ostacolato e allontanato dalla civilizzazione. Ho definito il mio atto pittorico di allora come uno sfogo. Delle energie sop- presse dovevano uscire fuori e, attraverso una percezione esteriore, diventare consapevoli. La superficie pittorica veniva presto oltrepassata e superata. L’eccitazione provocata dalla pittura richiedeva un’esperienza ancora più intensa e sensoriale. Della polpa di frutta schiacciata, del tuorlo d’uovo viscido, della carne cruda e bagnata, del sangue, del siero e delle pecore macellate venivano utilizzate per le azioni che avvenivano non più su una superficie pittorica, ma in uno spazio. Durante lo sventramento, il cadavere della pecora squarciato, scuoiato, e irrorato di sangue vomitava e partoriva delle interiora dai colori ematici umidi, d’un rosso vivo e luminoso. Le budella turgide, piene di escrementi venivano tastate e strappa- te. La procedura dell’action-painting si amplificò fino al teatro, fino al procedimento drammatico. Il punto finale dello sfogo dionisiaco innescato per via analitica veniva raggiunto attraverso un’esperienza di pro- fondo eccesso sado-masochistico, il lacerare la pecora. Nell’atto cultuale dell’animale smembrato viene citato in sua vece l’evento mistico del corpo lacerato di Dioniso. Il desiderio represso di un vissuto possibilmente intenso, che miscela libidine procreativa e voluttà assassina con tutta l’esperienza estatica, diventa visibile come avvenimento teatrale e drammatico. L’inespressa avidità di uccidere viene elaborata, rive- lata e resa cosciente. La pittura dell’O. M. Theater divenne il rituale introduttivo per una nuova forma di teatro, che scopre il male fondamentale di una insufficiente esperienza sensoriale, di un non compiuto vivere. La catastrofe del dramma conduce la nostra propria intensità sensuale al punto finale. Le nostre intenzioni represse prorompono da noi in modo ebbro ed estatico, si riversano in un eccesso sado-masochistico (il cui esubero verte nella distruzione della morte) rivelando una corrente fondamentale di (trattenuta) vitalità, che ci può completare soltanto in momenti veramente grandi (qualora non ci distrugga), poiché va oltre la vita e la morte e significa l’eterno mutamento dell’essere. Ancora una volta: la voluttà assassina e la libido amorosa si fondono. L’assimilazione, ovvero la metabolizzazione, avviene. La presenza della morte permette che quello che è vivo si compenetri uccidendo. La vittima e il carnefice sono tutt’uno. La morte e la vita sono soltanto un flusso di voluttuosa mutazione, delle forze vengono citate e rilasciate, che vanno al di là di noi, le quali, qualora ci riempiano consapevolmente, provocano uno stato d’essere intenso, che apparentemente ci solleva dalla casualità della nascita e della morte. Si percepisce un essere perenne che va oltre la vita individuale. L’universo ci attraversa tuonando e distruggendoci quasi. Un’evasione dalla vita quotidiana, media, tiepida permette che si liberi un eccesso di energie. Le energie prorompenti si volgono verso la distruzione, attraggono la morte e vogliono tornare indietro verso un nuovo spiegamento di forze.
L’evasione da una norma costrittiva ci richiede tutta la nostra forza e vitalità. Altrimenti, l’energia trattenuta prorompe da noi, ci cala profondamente nella nostra esistenza, nella nostra temerarietà, nella nostra estrema posizione prometeica del creare, che non teme né la vita né la morte (avviene un’identificazione con la creazione, con il processo e con il ritmo della creazione). È la creazione stessa. Non (solo) il mantenimento della vita, il mutamento del mondo, che vuole più della morte e della vita, la metafisica diventa una necessità (coscientemente) vissuta. La vita (creativa) vissuta intensamente ci porta in prossimità della morte. Quello che avviene intensamente è la mutazione del mondo, che significa più della vita e della morte, le quali sono soltanto degli stadi temporanei del complessivo processo creativo. Comprendere la mistica dell’essere, l’affermare e capire il cambiamento del mondo, vuol dire una metafisica che viene portata fino alla dimensione dell’evento.
9. Il guardare è posto in strettissima relazione con tutto quanto finora detto, attraverso una presa di visione intensa del mondo circostante, veniamo tratti nella profondità dell’essere. Poniamoci oltre la dimensione tragica dell’atto drammatico davanti all’evento da osservare, proviamo ad avere un’impressione esteti- ca senza che contenga un significato e, se vi riusciamo, ad accoglierla. Quel che viene visto è semplicemente bello, cattura profondamente. Un animale viene scuoiato, ma quale splendore si rivela! Vengono mostra- ti fiori di carne, morbidi muscoli, umidi, caldi, colorati come le rose, spesso dai riflessi madreperlati e sangue caldo, eccitantemente vivo, acuto, stridulo, scarlatto, sprizza dal corpo e si riversa su teli bianchi. Il corpo dell’animale viene fatto a pezzi. Con coltelli affilati vengono attentamente tagliate e alzate le pareti addominali che contengono le budella. UN FIORE VIENE SVENTRATO, PETALI DI CARNE ROSA TEA si schiudono. Carne di rosa tea, vischioso color rosso-uovo. Sostanze simili al tuorlo, giallo-polline, mielose. La sacca dello stomaco diventa visibile. Gli intestini tremolano molli, fumanti, caldi e gelatinosi, come muscoli guizzanti, facilmente vulnerabili come l’epidermide su un liquido denso, sulla quale si versano delle gocce di succo di limone. Sussulto di nervi, color garofano. In questo bouquet di fiori composto di carne viene compresa tutta la gamma dei colori, da quelli della lingerie rossa, dalle cromie rosate e ancora tiepide del corpo di donna, alle tonalità viola azzurro, violetto e ciclamino fino ai toni verdi. Gli intestini pesanti e colmi di escrementi cadono mollemente umidi a terra mentre il toro viene issato. Dal corpo viene strappata la carne dei polmoni, colorata di rosso cinabro vivo, inumidito dal sangue pompato, arterioso e ossigenato. È come se grandi quantità di tulipani rossi, gladioli e polpa di rosa cadessero dal corpo spaccato per terra. Tutte le cromie dei fiori cadono sul pavimento insieme alle interiora. I colori vengono irradiati dall’interno delle sostanze. Il giocatore partecipa tramite l’osservazione, interiorizza tutto e lo percepisce fino alla interna essenza della sostanza, che è la mutazione oltre il divenire e perire. È semplice- mente bello vedere i nostri organi interni, i polmoni, il cuore, i reni, il fegato, lo stomaco, gli intestini, i vasi sanguigni e la LINFA VITALE del sangue.
Sempre di nuovo è il colore che fa sì che gli organi interni risplendano anche se normalmente sono celati alla luce. Similmente accade ai pesci degli abissi, che sono forniti dei colori più sfavillanti nell’oscurità più recondita del mare. Sarà che i colori hanno una funzione
Comprendere la mistica dell’essere, l’affermare e capire il cambiamento del mondo, vuol dire una metafisica che viene portata fino alla dimensione dell’evento.
9. Il guardare è posto in strettissima relazione con tutto quanto finora detto, attraverso una presa di visione intensa del mondo circostante, veniamo tratti nella profondità dell’essere. Poniamoci oltre la dimensione tragica dell’atto drammatico davanti all’evento da osservare, proviamo ad avere un’impressione esteti- ca senza che contenga un significato e, se vi riusciamo, ad accoglierla. Quel che viene visto è semplicemente bello, cattura profondamente. Un animale viene scuoiato, ma quale splendore si rivela! Vengono mostra- ti fiori di carne, morbidi muscoli, umidi, caldi, colorati come le rose, spesso dai riflessi madreperlati e sangue caldo, eccitantemente vivo, acuto, stridulo, scarlatto, sprizza dal corpo e si riversa su teli bianchi. Il corpo dell’animale viene fatto a pezzi. Con coltelli affilati vengono attentamente tagliate e alzate le pareti addominali che contengono le budella. UN FIORE VIENE SVENTRATO, PETALI DI CARNE ROSA TEA si schiudono. Carne di rosa tea, vischioso color rosso-uovo. Sostanze simili al tuorlo, giallo-polline, mielose. La sacca dello stomaco diventa visibile. Gli intestini tremolano molli, fumanti, caldi e gelatinosi, come muscoli guizzanti, facilmente vulnerabili come l’epidermide su un liquido denso, sulla quale si versano delle gocce di succo di limone. Sussulto di nervi, color garofano. In questo bouquet di fiori composto di carne viene compresa tutta la gamma dei colori, da quelli della lingerie rossa, dalle cromie rosate e ancora tiepide del corpo di donna, alle tonalità viola azzurro, violetto e ciclamino fino ai toni verdi. Gli intestini pesanti e colmi di escrementi cadono mollemente umidi a terra mentre il toro viene issato. Dal corpo viene strappata la carne dei polmoni, colorata di rosso cinabro vivo, inumidito dal sangue pompato, arterioso e ossigenato. È come se grandi quantità di tulipani rossi, gladioli e polpa di rosa cadessero dal corpo spaccato per terra. Tutte le cromie dei fiori cadono sul pavimento insieme alle interiora. I colori vengono irradiati dall’interno delle sostanze. Il giocatore partecipa tramite l’osservazione, interiorizza tutto e lo percepisce fino alla interna essenza della sostanza, che è la mutazione oltre il divenire e perire. È semplice- mente bello vedere i nostri organi interni, i polmoni, il cuore, i reni, il fegato, lo stomaco, gli intestini, i vasi sanguigni e la LINFA VITALE del sangue. Sempre di nuovo è il colore che fa sì che gli organi interni risplendano anche se normalmente sono celati alla luce. Similmente accade ai pesci degli abissi, che sono che va al di là della loro visibilità? Il O.M. Theater è una grande festa per gli occhi.
«Il mangiare condiviso è un’azione simbolica di comunione... tutto quello che è godere, appropriarsi e assimilare è mangiare, o il mangiare è piuttosto nulla più che un appropriarsi. Qualsiasi godimento dello spirito può essere perciò espresso con il cibo. Nell’amicizia ci si nutre per davvero del proprio amico oppure si vive di lui. È un autentico tropo, il voler sostituire il corpo con lo spirito e il voler assaggiare nel corso d’una cena commemorativa la carne d’un amico in ciascun boccone con temeraria, soprasensibile forza d’immaginazione e assaporare il suo sangue in ciascun sorso bevuto. Per il gusto molle dei nostri tempi questo certamente ci pare barbarico – ma chi ci esorta a pensare subito a del sangue e delle carni crudi, deperibili? ... e sono il sangue e la carne davvero qualcosa di così ignobile e ributtante? In verità vi è più dell’oro e dei diamanti, e i tempi non sono più così lontani, nei quali si avranno significati più aulici del corpo organico.
Chi sa, quale elevato simbolo è il sangue? Proprio il ribrezzo delle componenti organiche permette di condurci verso qualcosa di elegiaco in esse. Rabbrividiamo davanti ad esse come davanti a degli spettri e presagiamo con orrore infantile in questa curiosa commistione un mondo misterioso, che potrebbe essere una vecchia conoscenza.
Ma per tornare alla cena commemorativa – non si potrebbe pensare, che il nostro amico ora fosse un’entità, la cui carne possa essere pane e il cui sangue vino?»
L’interiorizzazione ha qualcosa di tragico, termina con la morte di colui che viene inglobato. Il metabolismo si svolge in noi in modo irrispettosamente tragico. L’uccisione del Dio è collegata con il fatto, che la sua carne deve essere mangiata e soltanto dopo l’assimilazione, secondo il mito, avviene la risurrezione per tutti noi. La nostra stessa morte è l’inglobamento nella terra e nel mondo circostante, nella creazione che ci contorna. I sensi accesi e in piena funzione, se differenziati e condotti dai pensieri, ci trainano nel mondo, nel nostro evento creativo, nel nostro mistico essere tutt’uno con il creato. Ci conducono verso l’interiorizzazione con l’universo, perché il mondo interiore ed esteriore possano essere anche fisicamente uniti. Da questo deriva la grandezza di un pasto condiviso, l’essere senza tempo della festa dell’eucarestia, dove Dio, simbolo dell’intera creazione, che inizialmente rappresenta per il fedele il mondo esteriore, dona il suo corpo per venire assimilato, affinché l’esterno, e con esso l’essere supremo, possa penetrare nell’io del fedele, che con ciò si apre a sua volta in Dio e nella creazione . Vedere e, soprattutto, utilizzare correttamente i sensi significa volontà di assimilazione del mondo esteriore (nel vero senso della parola) e non vivere da automi nello spazio e nel tempo senza una realtà esperenziale, per non dire addirittura un infelice vegetare.