DAL 7 GIUGNO AL 7 OTTOBRE 2018
COLLOQUIO CON MARIO CEROLI
La grande occasione è il titolo che Mario Ceroli, durante un appassionato colloquio, ha proposto per questa sua personale, la decima allestita nella Galleria de’ Foscherari. Sono passati cinquant’anni dalla prima, la celebre Aria di Daria, realizzata in quell’anno memorabile che è stato il 1968, ma Ceroli ha mantenuti intatti il suo entusiasmo per l’operare artistico e la sua voglia di modificare il mondo. Parla, infatti, della sua grande occasione, a ottant’anni allegramente compiuti, di rileggere la straordinaria opera realizzata finora e continuarla in forme tanto affascinanti quanto inaspettate. Al vederle ci è balzata alla mente l’acutissima presentazione che dell’Aria di Daria fece l’indimenticabile Pietro Bonfiglioli, il quale, citando Nietzsche, definì il procedere dell’artista nell’esecuzione della sua opera una “gaia scienza”, cioè “l’arte di utilizzare un patrimonio di cultura individuale e sociale per modellare il mondo dell’uomo in armonia con i suoi istinti vitali; . . . un’arte orgogliosa, in lotta contro tutte le pulsioni di morte.” Ma torniamo alla nostra conversazione. Una grande occasione, ha aggiunto Pasquale Ribuffo, che era presente, anche per la Galleria, che può esibire alcune delle opere più significative fra quelle che l’artista ha recentemente realizzato con l’entusiasmo di sempre. Una grande occasione, voglio aggiungere io, per il pubblico e la critica che assistono in anteprima alla conclusione, provvisoria ovviamente, dell’attività di uno dei maggiori artisti italiani viventi.
A questo proposito, ricordo che la presentazione del catalogo con cui la de’ Foscherari ha accompagnato la mostra dedicata a Ceroli nel 2012 (Mario Ceroli 1962-1968) si concludeva chiedendo se l’artista dovesse ormai essere considerato alla stregua dei classici, oppure se la sua opera non si fosse ancora riconciliata con le Muse e mantenesse un potenziale innovatore tale da poter innescare inediti processi sperimentali. Ecco, allora, un’altra occasione, che mi auguro grande anch’essa, consistente nel tentare una risposta a quel quesito di fronte a questa esposizione, certamente innovativa tanto che, a prima vista, sembra segnare uno stacco netto rispetto al mondo sostituita da un suo equivalente in grezzo pino di Russia, con il quale finora, nel nostro immaginario, Ceroli si è in larga misura identificato.
In realtà, se concentriamo la nostra attenzione sulle opere esposte, vediamo i fili sottili, ma estremamente resistenti, che le uniscono allo sterminato catalogo di sculture lignee raccolte nei principali musei e luoghi deputati di tutto il mondo. Non dobbiamo, infatti, fermarci al dato che più immediatamente ci colpisce e cioè che al posto dei volumi matericamente prorompenti scanditi dalle sculture abbiamo grandi superfici di tela segnate da pastelli a olio, ma seguire con sensibilità critica le evoluzioni delle matasse colorate per capire da dove vengono ed avere così la possibilità di intendere dove le condurrà il loro dipanarsi
Proviamo ad osservare un’opera come Erotismo pompeiano (il rosso pompeiano è uno dei colori cari a Ceroli), ma anche Eco di un bacio e Io, la terra e la luna. Ecco che ci appaiono chiaramente, sulla scorta delle parentesi tonde e graffa, le analogie con le grandi lettere alfabetiche che l’artista tagliava nel legno fin dai suoi esordi. Può sembrare un’osservazione superficiale , ma non perdiamoci d’animo e passiamo a Onde gravitazionali oppure a La nuova coppia o, ancora, a Figura di donna, tutte ottenute manualmente impugnando i pastelli a mazzo. Risulta evidente che alla base del tutto c’è una sezione d’albero i cui cerchi concentrici subiscono torsioni e si avviluppano fino ad alludere a vere e proprie figure. Ma se anche questa lettura non risulta convincente svelerò , tanto non è un segreto, che nella casa romana di Ceroli c’è un tavolo costituito dalla sezione di una sequoia millenaria. Ora sarà agevole vedere le linee della vita di quell’albero animate e colorate dall’artista che le ha fissate sulla tela per ricordarci che all’origine del suo operare c’è l’albero con la sua vitalità naturale.
La lotta di Ceroli “contro tutte le pulsioni di morte” continua orgogliosa spostando il campo di battaglia sulla superficie, ma ricordando sempre da dove sgorga lo “ spirto guerrier”. Sappiamo bene che l’artista ha prodotto nel 1970 una delle sue opere più celebri, L’albero della vita, e sappiamo anche che l’albero non è soltanto un simbolo biblico, ma un ineludibile punto di riferimento in tutte le culture. Arrivati all’albero, alla radice prima dell’’attività di un artista che affronta la rilettura del suo passato con baldanza giovanile, lascio agli spettatori e agli storici dell’arte il compito di risalire fino alle grandi tele per svelarne il contenuto più profondo. Io aggiungo solo che credo di aver capito ciò che Ceroli intende più precisamente quando parla della sua grande occasione: andare con altri mezzi, all’apparenza più tradizionali, alla radice del suo operare per scoprire che essa è anche l’origine della vita.
Siamo al punto sul quale si è concluso il nostro colloquio ed esattamente con l’asserzione dell’artista che la vita è la grande occasione offerta a tutti noi. Ora la questione si amplia, a mio vedere, fino a toccare la metafisica, terreno sul quale mi muovo con grande difficoltà. Posso dire però che “il falegname del mondo” continua, armato di pastelli, a lottare sulla tela Per la vita contro la morte, per citare un altro critico del moderno, l’americano Norman Brown.
Bologna, 1 giugno 2018
Vittorio Boarini