ARTISTI: DAVID ADAMO-VAJIKO CHACHKHIANI-KEREN CYTTER-RICCARDO PREVIDI-ANCA MUNTENAU RIMNIC-MATHILDE ROSIER - 24 APRILE - 24 MAGGIO 2017
Ghenos, Eros e Thanathos (o come lo chiamerebbe Alberto Boatto: GET) è stato probabilmente uno dei progetti più radicali e significativi dell’arte, non solo italiana, dal secondo dopoguerra a oggi. A distanza di quarantatré anni non ha perduto nulla del suo smalto, ha anzi acquisito nuove sfumature e profondità. Il desiderio di Paolo Chiasera, mio e della galleria, di lavorare sull’idea di Boatto nasce proprio da questo: è impossibile ridurre GET a una qualsiasi importanza storica del tempo in cui è stata realizzata, non ha nulla di datato. Nel corso degli anni la mostra e il testo che la accompagnava hanno bensì aumentato il loro portato rivoluzionario, capace ancora oggi di presentarsi come una “pietra oscura”, un “edificio insondabile” e profondo, fastidioso e impossibile da osservare a lungo. Non a caso Boatto lo aveva costruito attorno ai tre semplici mattoni di cui è fatta la natura umana, il momento della nascita, l’eros e la morte, su cui poi viene appoggiato tutto il resto, e in cui la testata d’angolo del suo discorso veniva occupata dal Thanatos. I settanta erano anni di fede radicale in ideologie astruse, lontane dalla realtà e pericolose. Scegliere di fare una mostra così poco politica (intendendo “politica” nel senso più banale del termine) non deve essere stato facile, e immagino le critiche che può aver generato. Oggi viviamo anni di nichilismo peloso e verboso che si riversa anche nel mondo dell’arte, ma il risultato finale è sempre lo stesso: le mostre, le biennali, gli artisti trattano troppo spesso tematiche lontane dalla realtà, dalla tangibilità dei fatti che influenzano direttamente la nostra vita, i nostri corpi, la concretezza dell’esistenza e dei suoi avvenimenti basici. Siamo inondati di trattati su post fordismo, post colonialismo, il design degli anni sessanta, il modernismo degli anni trenta, indagini su spaccati sociali e antropologici; e abbiamo anche il coraggio di lamentarci se il pubblico dell’arte è così misero rispetto a quello degli altri linguaggi. E’ forse allora ancora più rivoluzionario oggi presentare queste tre istanze base, attorno a cui veramente si muovono le nostre vite e rispetto alle quali tutto il resto deve muoversi come funzionale e secondario. Alberto Boatto se ne è andato poco tempo fa, lasciandoci un’ultima testimonianza scritta che accompagna questo progetto di mostra come una guida, una stella. Assieme a questo testo e al libro pubblicato nel 1974, la mostra che lui fece è la base da cui siamo partiti a lavorare con Paolo, e da lui sarà reintegrata quasi fosse una visione magicamente rievocata e riportata in vita in una sua grande installazione che farà da spazio curatoriale e visiva per tutte le altre opere che verranno presentate. Si tratta di lavori di artisti delle ultime generazioni, che condividono lo spirito della mostra del 1974 e che si relazionano con le opere esposte allora, rigenerandole, pervertendole, e mostrando che esiste sempre una nuova vita per l’arte dopo la morte.
Antonio Grulli