Gli anni di Berlino - 24 Novembre - 28 Febbraio 2013
La Galleria de'Foscherari allestisce una mostra dedicata a George Grosz, conoscendo la tradizione di questa galleria viene spontaneo chiedersi quale sia l'attualità del grande artista tedesco, se cioè vi sia ancora una lettura delle sue opere che le animi con il ritmo della contemporaneità. Naturalmente l'esposizione riguarda il periodo berlinese, quel periodo compreso fra il 1912 e 1931, nel quale Grosz dà il meglio di sé, prima di essere costretto a rifugiarsi negli Stati Uniti per sfuggire al nazismo. L'America è la salvezza, ma là le sue matite non hanno più la punta affilata e i suoi pennelli si stemperano in una pittura ammorbidita. Anche del periodo berlinese però, ampio e ricco di avvenimenti culturali e drammi storici, credo sia necessario distinguere almeno una fase giovanile, peraltro affollata di opere, soprattutto disegni; un periodo in cui il nostro artista attraversa felicemente tutte le avanguardie, dal cubismo all'astrattismo; l'approdo, come tutto l'espressionismo, alla Nuova Oggettività dove si realizza pienamente la vicenda artistica,culturale e morale di un intellettuale che ha apertamente combattuto il conformismo borghese e il militarismo.A questo punto voglio notare che l'esito realista dell'Avanguardia Tedesca coincide sostanzialmente con la nascita del cinema espressionista, il quale nella sua prima fase assume la denominazione di Caligarismo (il primo film di questa tendenza, realizzato da R. Wiene nel 1919, è Il gabinetto del dottor Caligari). Richiamo questa circostanza non perché, com'è noto, Grosz nutriva interesse per lo spettacolo (in realtà soprattutto per il teatro politico), ma perché penso che il cinema di quel periodo possa aiutarci a meglio comprendere l'artista, le cui opere costituiscono una delle critiche più radicali alla società del periodo di Weimar. Ecco, allora, che rischiando qualche forzatura, inquadro del periodo berlinese la fase coincidente con la Nuova Oggettività, la fase in cui il realismo di Grosz appare più ricco e maturo, nonché di straordinaria attualità. Ma, prima di procedere, è necessario ricordare che il realismo, quale tendenza artistico-letteraria, dai fratelli Goncourt ad oggi, si presenta ciclicamente, magari come verismo o come naturalismo, nel nostro orizzonte culturale. Attualmente la nozione di realismo è oggetto di un intenso dibattito soprattutto per i filosofi, che arriva fino alle pagine dei quotidiani. Possiamo azzardare l'ipotesi che il prendere forma di tale tendenza coincida con i momenti critici subiti dalla società, con le crisi strutturali che affliggono , anche esse ciclicamente, i popoli . Per restare al Novecento e fare solo qualche esempio, la NuovaOggettività domina la cultura della Repubblica di Weimar, la cui crisi porterà al nazismo, il neoverismo è l'elemento più significativo della temperia culturale che accompagna il il New Deal roosveltiano, cioè la crisi americana seguita al 1929; il neorealismo assume in Italia grande rilievo negli anni quaranta e cinquanta, vale a dire fase bellica e postbellica.
Ora che attraversiamo un periodo critico di enorme intensità e si discute animatamente di un nuovo realismo, vengono spontanei i collegamenti con il passato e, in particolare, il confronto fra il nostro attuale momento storico e la situazione della Germania così efficacemente illustrata da Grosz. Proprio l'impressionante rappresentazione che il nostro artista ci ha dato di una classe dirigente viziosamente avida, profondamente ipocrita e ferocemente spietata, pone il problema di definire meglio il realismo di tale rappresentazione, non solo distinguendolo da quello di Otto Dix, come egregiamente hanno fatto alcuni autorevoli studiosi, ma anche azzardando un'interpretazione che mi ha suggerito l'espressionismo cinematografico. Il Caligarismo, infatti, esprime alcuni capolavori che criticano la società in termini metaforici e le metafore sono costruite su figure mostruose, quali il Dott Caligari, il Dott Mabuse (Lang), Nosferatu il Vampiro (Murnau). Sembra che il cinema, prima di approdare all'espressionismo critico, cioè al realismo degli anni 1926 - 1931, riprenda l'espressionismo delle origini (1905 – 1911), cioè il visionarismo allucinato che rivela la forma mostruosa della realtà con un linguaggio inusitato e abnorme. Osservando le opere di Grosz, che non a caso era amico e collaboratore di Brecht, sembra di scorgere controluce, al di la della forma realistica e grazie a piccoli ma significativi scarti da questa forma, i mostri che il cinema espressionista ha fissato nel nostro immaginario come capostipiti di tutti gli orrori del moderno. Detto altrimenti, è come se Grosz, rovesciando il procedimento critico dei film Caligaristi,anziché rappresentare i mostri che alludono alla realtà, rappresentasse una realtà cosi sfaccettata e con tale profondità di campo da far filtrare l'essenza più intima della realtà stessa, la verità mostruosa del essere sociale. Ma qui arriviamo ad un terreno su cui non oso avventurarmi, al campo minato della distinzione fra realtà e verità, al punto dolente di ogni teorizzazione sul realismo. Forse un attenta rivisitazione di Grosz potrà esserci di aiuto anche in questo campo