Giovanni d'Agostino
(Catania 1932 – Bologna 2000)
La Galleria de' Foscherari dedica un raffinato e potente omaggio a Giovanni d'Agostino, uno dei protagonisti "segreti" della cultura italiana degli anni ’70 e ’80, che ha dedicato energia ed impegno all’insegnamento dell’arte nelle Accademie di Belle Arti italiane, dall’Accademia di Urbino, dove iniziò ad insegnare nel 1972, a quelle di Firenze, Bologna e Milano.
L'arte di d’Agostino, nei diversi periodi, è sempre e comunque concentrata su due elementi fondanti, la luce, grande tema della sua pittura, che diviene esperienza assoluta, pensiero cristallino, "sostanza" fondante, e la ricerca sui materiali - cera, rame, neon, petali di rosa, fiammiferi, aghi di pino - a cui l'artista affida un profondo valore espressivo
“Egli - ha scritto Luciano Anceschi – ha trovato una folgorante, diversa possibilità del fare nell’ideazione di una nuova regola per un recupero eccitato, ma anche sempre più consolidato.”
Possibilità del fare: questo ha scandagliato d’Agostino, dalle primissime esperienze – ventenne, nella Sicilia di Guttuso – sino agli ultimi anni Giovanni ha condotto la sua personalissima ricerca di depurazione, di mutazione della forma, per la quale strumento fondamentale è l'elemento luminoso e la sua possibilità di trasformare e purificare ciò che tocca.
Elemento intangibile ma fisicamente percepibile è la luce, essenza del visibile, ideale limite estremo ed ultimo possibile al superamento della forma per toccare la sensazione pura, e la luce nelle opere di d'Agostino, è materia fondamentale, evocata dai materiali scelti dall'artista, quasi emanazione endogena che altera la forma trasformandola in fonte di luce: la materia perde consistenza di peso.
La cera, si fa filtro attraverso cui passa una luminosità chiara ed evanescente nella quale galleggiano, sospesi nello spazio e nel tempo, segni. Il segno, testimonianza dell’appropriazione del visibile, del suo possesso da parte dell’artista.
Segni primari, archetipici, sigillati nella cera , quasi memorie senza tempo, "come si può introdurre un petalo di papavero tra due pagine di un libro", scrive Pierre Restany.
D'Agostino sperimenta la possibilità della luce di darsi dalla materia traslucida della cera, dagli “accidenti” e dalle sue luminescenze monocromatiche, e – ancora - la possibilità del tempo di istituirsi, in segni e tracce, sotto le pelle duttile della cera, nelle risonanze acustiche dei gong che paiono dilatarsi nello spazio; nel fluire ritmico del segno – continuo, temporale – degli Ipotesti, dominati da un ritmo poetico e musicale che conduce la mente oltre la superficie, oltre il gesto, come una scala armonica, in una superficie imbevuta di luce.
Come la musica ("matrice di tutte le arti", ha scritto Fausto Melotti) la pittura è trama di pensiero, sensazione, emozione, memoria purificata dall'effimero transitorio, da ciò che non è duraturo. Misteriosa memoria visiva, prolungamento nel presente, della vita delle cose - cose che, in accennate morfologie, in segni ancora leggibili affiorano alla superficie, o in essa affondano.
E' la possibilità dello spazio, che nelle opere è evocato per assenza, per levità, - dice Anceschi – per spoliazione.
La Galleria de' Foscherari ha scelto di presentare tre dei più importanti cicli di lavori di Giovanni d'Agostino, cicli che segnano la sua vicenda artistica, dalle cere ai gong agli ultimi inafferabili ipotesti.
La poesia, amatissima da d'Agostino, è come un filo che lega tutti i suoi lavori, le sue esperienze artistiche: un filo sonoro (tutta l’opera di Giovanni “suona”, è come “versi visivi”) , un fluire che trasforma l’energia in evidenza, in presenza.
“Quello che faccio porta i segni di quello che sono”: Giovanni d'Agostino è un poeta.
Silvia Evangelisti