TERRA - GEOGRAFIE TEMPORALI - 8 OTTOBRE - 8 Dicembre 2016
Per la prima volta lo spazio della Galleria deʼ Foscherari di Bologna si apre per ospitare la personale di Sophie Ko Chkheidze (Tbilisi, 1981) artista georgiana che vive e lavora a Milano. La mostra è a cura di Federico Ferrari.
In questa mostra sono presentati i seguenti lavori: L'uomo accende a se stesso una luce nella notte, Atlanti (polittico), Terra (polittico), Kaspar Hauser, Stella polare (trittico).
Tutte le opere esposte sono Geografie temporali (a eccezione di Kaspar Hauser) ovvero quadri fatti di cenere di immagini bruciate o di pigmento puro che costituiscono il momento più intenso della riflessione poetica dell'artista sulle immagini. Lʼintera opera di Sophie Ko è incentrata sul senso delle immagini nella nostra vita e le Geografie temporali per la forza espressiva e per l’essenzialità della potenza figurativa entrano in dialogo con alcuni momenti fondativi della storia (e della pre-istoria) dell'arte.
Abbi cura della (tua) cenere - Le immagini vivono nel tempo, ne sono silenziose testimoni; le immagini scompaiono, ritornano nel tempo e al tempo sopravvivono. Le immagini portano con sé anche un proprio tempo: le immagini parlano del tempo che vivono, ci mostrano la loro scomparsa, la loro coriacea resistenza o addirittura una gloriosa rinascenza nella furia distruttiva della storia. Ma forse ciò che non sappiamo più riconoscere è l'estasi delle immagini, il loro (e con loro, noi) stare al di fuori del tempo. Come scrive Federico Ferrari, «quando tutto nel nostro tempo sembra diventato calcolabile, determinabile, dipendente dalla volontà umana, l'opera d'arte rende al mondo la possibilità che appaia l'ignoto». L'ignoto è elusione al mero funzionamento, immaginazione, azione libera. Lo stupore primordiale dell'uomo davanti all'essere ha nell'immagine la sua espressione più alta. Sotto questo aspetto l'immagine è l'annullamento dei limiti ordinari delle cose per portare alla luce la domanda dinanzi al puro che c'è. Nella nostra epoca tutto è divenuto immagine e proprio per questo noi siamo divenuti i più ciechi e i più incapaci di comprenderne il senso. Nel momento in cui lo spettacolo è allo stesso tempo il progetto e il risultato del sistema di produzione e di comunicazione, le immagini non ci dicono più nulla: semplicemente funzionano. Che cosa resta delle immagini quando se ne è fatto scempio? Cenere e colore. Da qui traggono origine le immagini di Sophie Ko. Così le Geografie temporali sono un ritorno alla domanda originaria dell'uomo dinanzi all'immagine, un retrocedere alla dimensione primordiale ed essenziale del fare immagine, nell'attimo della massima usura delle immagini. Le Geografie temporali sono un insistere sulla essenza delle immagini che da sempre interpella l'artista al di là di ogni linearità temporale della storia dell'arte. Come scrive Federico Ferrari in Finis initium «la cenere è quel che resta, quel che ci resta» di tutta la tradizione di immagini del passato. Le opere in mostra Kaspar Hauser, L'uomo accende a se stesso una luce nella notte, Atlanti, Terra – rispetto al nostro abituale rapporto con le immagini fatto di «nichilismo passivo», di incapacità persino di avere cura delle proprie ceneri – sono una forma di pietas per le immagini e per noi stessi. Una Geografia temporale ci interpella: «Abbi cura della tua cenere».
Oltre la distruzione della vita e delle immagini - È da questa cenere, da questo nulla cui è destinata la vita delle immagini nel nostro tempo che nascono le Geografie temporali, opere che prendono forma dal resto incombusto di immagini, dalla cenere di immagini bruciate. Fuoco e cenere testimoniano della distruzione delle immagini e allo stesso tempo sono ciò che rende possibile oggi l’esistenza stessa dell’immagine. Dal fuoco nascono immagini, la cenere stessa delle immagini diviene il corpo e l’anima di un’immagine non ancora vista, la cui storia non è ancora stata scritta, è anzi appena iniziata. Le Geografie temporali tentano di fermare l’attimo in cui l'immagine del passato continua ancora a bruciare, insiste a voler esprimere un senso, continua a vivere, nonostante il seriale consumo di immagini, a dispetto della loro sistematica consunzione. Il bruciare delle immagini è ciò che porta con sé la vita passata nel presente, è il crescere della vita al di là di ogni distruzione, al di là di ogni tempo. Il fuoco è sia forza distruttiva, sia capacità di resistenza che l’immagine testimonia al prezzo della propria vita. Così le Geografie temporali sono nuove immagini (o immagini da sempre), fatte di forme mutevoli e mobili di ciò che resta delle immagini dopo la loro usura: cenere e colore. La cenere delle immagini bruciate è la fine stessa di un'immagine, ma è anche un nuovo inizio: la materia, il colore tracciano una «iconografia dell’invisto» (Federico Ferrari), l’immagine può donare ancora senso alla vita, una volta che si sia tornati alla dimensione essenziale ed elementare dell’immagine stessa.
Le immagini segnano il tempo - Questa luminosità delle immagini prende vita nelle Geografie temporali che sono in continua impercettibile trasformazione. Le Geografie temporali sono dei segnatempi, sono delle clessidre, simboli cari alle prime nature morte, a ogni vanitas, a ogni memento mori. Con il passar del tempo la composizione del quadro cambia, la cenere o il pigmento cade, il tempo segna il suo passaggio, ma il tempo che una Geografia temporale misura con la sua stessa forza di caduta non è solo il tempo della distruzione, dell’esaurirsi della vita. La simbologia cui l’orologio a polvere rimanda infatti è duplice: da un lato indica l’inesorabile finire della vita, dall’altro concede all’uomo il tempo della meditazione, della profondità, dell’arte, dell’ozio; come cresce la sabbia sul fondo dell’ampolla inferiore, così la vita prende forma nel suo scorrere, nel suo rapportarsi alle forze naturali e non si vanifica. Le Geografie temporali ci mostrano come il tempo perda la durata per acquistare peso. Così il senso dell’immagine non si consuma, e la domanda dell'uomo dinanzi a essa continua a tornare.
Toccare terra - Terra, è il titolo di questa mostra e le opere esposte appaiono come il tentativo di riportare alla visibilità la terra, di ridarne senso in immagine. Le immagini sono diventate vuote di senso perché non vediamo nemmeno più la terra. Il processo di illimitato ampliamento della ratio tecno-economica è giunto al punto di rendere invisibile proprio la terra stessa che vale ora solo come supporto di tale processo. Nelle opere di Sophie Ko la terra torna a essere ciò che è, uno dei quattro elementi del cosmo, il fondamento della nostra vita. Siamo accolti nella prima sala dalla Geografia temporale intitolata L'uomo accende a se stesso una luce nella notte, frammento eracliteo che ci invita a riconoscere la luminosità dell'immagine (e della nostra anima) nel grigio-nero della cenere di immagini bruciate. Nel prendere forma della cenere L'uomo accende a se stesso una luce nella notte mette in scena il rapporto tra tempo e immagine fatto di pressione e di distruzione del tempo sulle immagini, ma anche di formazione, profondità, rinascita delle immagini rispetto alla furia distruttrice del tempo. La Geografia temporale mette dinanzi ai nostri occhi che l'immagine non soltanto subisce il tempo, ma segna il tempo, lo porta a una forma, dà un senso e una direzione al nostro sguardo su questa terra. Le cinque Geografie temporali di cui si compone Atlanti fanno apparire dinanzi a noi la terra come grandi scogli che paiono dialogare con La scogliera sulla costa di Caspar David Friedrich: siamo giunti al limite della terra e solo ora la terra torna visibile come luogo da raggiungere, come scabra terra promessa, che chiede di essere abitata. Nell'azzurra lontananza degli scogli misuriamo la distanza che ci separa da essa. Nella sala delle tredici Geografie temporali di Terra siamo avvolti nella profondità della terra: procediamo immersi nella terra, come il cavaliere düreriano non possiamo più guardare dall'alto in basso le radici degli alberi, perché ora sono all'altezza della nostra testa. Torniamo a vedere la terra perché siamo sprofondati dentro di lei, ci troviamo nel fondo di un sepolcro. La terra ora ci si mostra non tanto grazie alla sua lontananza sublime, ma perché siamo avvolti in lei: «Terra sei e terra tornerai». A noi è lasciata la possibilità di costruire un nostro viaggio che iniziando dentro la terra, passo dopo passo, ci riporti alla luce, alla Gerusalemme celeste, meta del cavaliere di Dürer. Il riconoscimento della terra è al centro anche dell'acquerello Kaspar Hauser, l'unica opera in mostra in cui la dimensione figurativa della mano torna al centro dell'immagine. La figura mitica di Kaspar Hauser è il simbolo della esistenza umana: un viaggio incerto nella vita come quello di Kaspar si trasfigura nell'uomo su una piccola imbarcazione, che avvolto dal bianco, in silenzio si muove alla ricerca della propria terra. La terra non è ancora visibile, ma è quella la direzione del viaggio. Nella figura di Kaspar Kauser si riflette il movimento ellittico della vita umana: per ogni uomo, come scrive Georg Trakl, «un bene e un male sono preparati».