MARIO AIRO' - IL PIPISTRELLO BIANCO | 6 OTTOBRE AL 7 DICEMBRE 2019
Il titolo della mostra si riferisce ad una pubblicazione in cui l’autrice, con l’ausilio di anziani e giovani dongba (persone che officiano i riti, sciamani), traduce un libro rituale della tradizione Naxi, scritto nell’ultima lingua pittografica rimasta attiva ai giorni nostri. È una lettura estremamente affascinante e interessante: il racconto ha una grande potenza immaginifica e le figure mitiche che lo animano sono molto distanti dal nostro mondo mitologico e incarnano spinte spiritualestistenziali nate in un contesto molto molto diverso dal nostro brodo mediterraneo, in una terra appena al disotto delle grandi montagne himalaiane. Mi dispiace dover dire che i lavori in mostra non cercano di essere attinenti a questo ricchissimo universo simbolico, né cercano di illustrarlo: solo sognano un’armonia affine e cercano di accordarla allo spazio che li circonda e alla nostra cultura che più che in decadenza sembra entrata in un accelerato volo a vite.
Le immagini guida che mi hanno condotto a ciò che troverete in mostra sono state, oltre ai pittogrammi naxi, la visione, in un documentario, del monte Kailash - una delle figure più portentose che mi sia capitato di incontrare, una di quelle che ti fa comprendere appieno la potenza apotropaica dell’immagine per l’uomo ( e non è casuale infatti che per tre grandi religioni sia il posto di congiunzione, di connessione delle energie tra terra e cielo, tra divino e umano) - e gli spettri di assorbimento degli elementi chimici, specialmente gli intervalli tra le loro bande di frequenza, veri accordi luminosi. Che altro dire?, a voler essere rigorosi non bisognerebbe aggiungere più nulla: da qui in poi si entra in un territorio altro, nel reame dove a parlare sono le immagini e le forme tra di loro.
E bisogna seguire loro e come si muovono, come si connettono, si chiamano e richiamano tra loro, su linee di affinità e empatia; osservare come macinano e rimacinano la lingua madre, quella che darà loro sembianza forma senso e status simbolico, che darà loro apparenza e che donerà loro quell’incredibile potere di risonanza che riverberando farà ballare le nostre esangui sinapsi.
I lavori per fortuna sono e restano elusivi, sprezzantemente orgogliosi nella loro ermetica, annoiati dalle reiterate richieste di spiega. Ma in fondo il contenuto non è così importante, o meglio, il contenuto è sensibile, è quel sensibile che è subito idea, che hai incontrato e immediatamente come una termica improvvisa ti ha avvitato al cielo.
Mario Airò